IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile, iscritta al numero di ruolo generale sopra riportato, discussa alla udienza collegiale del giorno 17 febbraio 1994, promossa con atto di citazione notificato in data 3 ottobre 1991, a ministero dell'aiutante ufficiale giudiziario addetto all'ufficio unico notifiche della Corte d'appello di Milano; da Fallimento 3E S.p.a. in persona del curatore dott. Lorenzo Zaccagnini rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Romano, come da mandato in calce all'atto di citazione, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo, attore, contro Banca Agricola Milanese S.p.a. in persona del legale rappresentante pro-tempore rappresentata e difesa dall'avv. Giovanni E. Colombo, come da mandato a margine della comparsa di risposta, con domicilio eletto presso lo studio dei medesimi, convenuto. Rilevato che con atto di citazione notificato in data 3 ottobre 1991, il curatore del fallimento 3E S.p.a., dott. Lorenzo Zaccagnini, previa autorizzazione del giudice delegato a stare in giudizio, esponendo che, la societa' era stata dichiarata fallita il 17 maggio 1988, che all'epoca intercorreva un contratto di conto corrente con la Banca Agricola Milanese, che nonostante lo scioglimento del contratto per effetto del fallimento, la banca aveva eseguito pagamenti a favore di terzi consentendo l'emissione di assegni a favore della fallita, anziche' riversare le somme giacenti sul conto n. 14743 alla procedura, che complessivamente tali operazioni ammontavano a L. 199.452.498, ha chiamato in giudizio detto istituto di credito chiedendo che previa declaratoria di inefficacia del pagamento ex art. 44 della legge fallimentare, la Banca Agricola fosse condannata alla restituzione della somma oltre agli interessi e al maggior danno; Rilevato che la convenuta si e' costituita in giudizio eccependo che al momento della esecuzione delle operazioni, non le era nota l'intervenuta dichiarazione di fallimento ed in particolare che le operazioni impugnate erano avvenute in parte nel periodo compreso fra la deliberazione della sentenza di fallimento e la sua pubblicazione, nonche' per altra parte fra la pubblicazione e l'affissione della sentenza e che nessuna portava una data successiva alla affissione; Considerato che la Banca Agricola Milanese ha eccepito che l'interpretazione giurisprudenziale delle norme di cui agli artt. 42 e 44 della legge fallimentare e' tale che queste si pongono in contrasto con i principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 41 della Costituzione nella parte in cui non prevedono che nei confronti dei terzi gli effetti del fallimento si producano a seguito della affissione; O S S E R V A Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 44 della legge fallimentare in combinazione con gli artt. 17 e 42 della medesima legge. La curatela ha proposto l'azione di inefficacia fondata sull'art. 44 della legge fallimentare in relazione all'art. 78 della legge fallimentare, talche' era onere dell'attore dimostrare che la convenuta aveva eseguito a favore di terzi dei pagamenti per conto della societa' fallita in data successiva al fallimento. Si tratta, quindi, di verificare in limine in quale momento si producono gli effetti della sentenza di fallimento. La norma invocata nella presente controversia e' quella di cui all'art. 44 della legge fallimentare la quale peraltro va necessariamente correlata a quella di cui al precedente art. 42, a tenore del quale gli effetti del fallimento nei confronti del fallito si producono con la "sentenza di fallimento che priva dalla sua data ..". La dizione letterale della norma lascia spazio ad una triplice interpretazione nel senso che gli effetti si producono o dal momento della deliberazione in camera di consiglio o da quello della pubblicazione della sentenza o infine da quello della affissione. Il collegio, su questo punto, ritenendo di aderire al prevalente orientamento giurisprudenziale secondo il quale la sentenza esiste, soltanto, con il suo deposito in cancelleria, si' che la perdita di capacita' del fallito ai sensi dell'art. 42 della legge fallimentare opera dal momento della pubblicazione della decisione (cosi', da ultimo, Cass. 16 aprile 1992, n. 4705 e Cass. 22 novembre 1991, n. 12573) esclude che gli effetti di cui al combinato disposto degli artt. 42 e 44 della legge fallimentare possano maturare sin dalla deliberazione in camera di consiglio. V'e' da chiedersi pero' se tutti gli effetti che conseguono al fallimento inizino a decorrere dalla pubblicazione della sentenza ovvero se per altri non debba farsi riferimento ad un diverso dato temporale. E' noto infatti che il fallimento, in quanto procedura concorsuale, investe per definizione una molteplicita' di rapporti e produce effetti nei confronti di una collettivita' indistinta di soggetti. Proprio perche' il fallimento e' destinato a regolare una serie di assetti di interessi che travalicano quelli delle parti che hanno partecipato al procedimento prefallimentare, il legislatore ha previsto un mezzo di conoscenza legale della decisione allorche', nell'art. 17 della legge fallimentare, ha stabilito che copia per estratto della sentenza dichiarativa venga pubblicata mediante affissione all'albo del tribunale. Molto si e' discusso in passato sull'efficacia dell'affissione e si e' ripetutamente affermato che tale adempimento di cancelleria non rappresenta un elemento costitutivo della sentenza di fallimento. Tale principio, che il tribunale ritiene del tutto condivisibile, non gioca pero' alcun ruolo se si muta la prospettiva da quella relativa alla esistenza della decisione a quella della sua effettiva conoscibilita'. E' evidente che per una molteplice serie di situazioni, la conoscibilita' della sentenza dichiarativa e' del tutto irrilevante (si pensi alla sospensione del corso degli interessi ex art. 55 della legge fallimentare), talche' l'effetto l'effetto del fallimento si produce automaticamente con la pubblicazione della pronuncia. Altre volte, invece, la conoscenza (intesa come conoscibilita') della sentenza e' fondamentale per indirizzare il terzo verso un determinato comportamento. In buona sostanza, nei confronti dei terzi determinati effetti si giustificano in quanto si presupponga che costoro abbiano avuto conoscenza del fallimento. Cosi' un creditore modulera' il proprio comportamento (scelta di accettare o non accettare un pagamento) a seconda che sappia se il solvens e' stato o no dichiarato fallito. Certamente non potra' scegliere per effetto del semplice fatto obiettivo del fallimento se questo non gli e' noto. La questione, in realta', ben era stata colta dal legislatore allorquando ha previsto che l'adempimento dell'affissione venisse espletato non oltre il giorno successivo a quello della pubblicazione della sentenza, si che lo spazio temporale di qualche ora ben poteva valere il sacrificio di un terzo che avesse contrattato con il fallito a beneficio, invece, della collettivita' dei creditori. La disapplicazione della norma di cui all'art. 17 della legge fallimentare con riferimento al tempestivo adempimento della formalita' dell'affissione rende sospette di illegittimita' costituzionale quelle disposizioni nelle quali l'operativita' immediata della sentenza di fallimento travolge posizioni di diritto soggettivo senza che alcuna difesa sia apprestabile per la parte in bonis. In questa ottica, gli effetti del fallimento nei confronti dei terzi (compresi i creditori) dovrebbero operare solo dal momento in cui e' stata resa conoscibile la sentenza di fallimento mediante l'affissione. D'altra parte che l'affissione sia un adempimento tutt'altro che formale, lo si ricava dal disposto di cui all'art. 18 della legge fallimentare a tenore del quale l'opposizione alla sentenza di fallimento inizia a decorrere dal momento dell'affissione. Recentemente, il giudice delle leggi si e' pronunciato per la legittimita' costituzionale di tale norma (sentenza 16 luglio 1987, n. 273 in foro it., 1988, I, 30) valorizzando l'adempimento dell'affissione come strumento minimo di conoscibilita' della decisione (lasciando comunque intravvedere una notevole perplessita' sull'idoneita' dell'affissione come mezzo legale di conoscenza). In tale contesto la Banca Agricola assume la sostanziale "inesigibilita'" di un comportamento difforme rispetto a quello tenuto e quindi avendo ignorato in buona fede l'intervenuto fallimento della soc. 3E, pretende di non essere sanzionata per una violazione meramente formale (sul asserito presupposto di non aver ricevuto alcuna vantaggio dalle operazioni impugnate). Effettivamente la doglianza della banca potrebbe essere superata se si ammettesse che il terzo che contratta con il fallito dopo il fallimento e' ammesso a provare il proprio stato soggettivo di buona fede. Il Tribunale, peraltro, si trova di fronte ad un indirizzo giurisprudenziale compatto e consolidato che a partire dagli anni '50 (app. Milano 24 ottobre 1952, in foto it., 1953, I, 86) e dai primi anni '60 per i giudici di legittimita' ha escluso la rilevanza della buona fede del terzo (Cass. 13 dicembre 1988, n. 6777 in fallimento, 1989, 505; Cass. 7 luglio 1981, n. 4434 in Giur. comm., 1982, II, 637; Cass. 4 luglio 1979, n. 3782 in Giust. civ., 1979, I, 1832; cass. 6 dicembre 1974 n. 4043 in giust. civ., 1975, I, 360) per cui si puo' parlare di "diritto vivente", si' che la norma di cui all'art. 44 della legge fallimentare e' come se recitasse "gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori senza che rilevi lo stato di buona fede del terzo". Ebbene, cosi' letta, tale norma ad avviso del tribunale pari porsi in conflitto con alcuni principi costituzionali e segnatamente con quello di cui all'art. 24 della Costituzione che tutela il diritto di difesa. Infatti, assumere che la buona fede del terzo non rileva in quanto l'inefficacia dell'atto (e/o del pagamento) compiuto dal fallito dopo il fallimento opera come sanzione obiettiva, equivale a dire che un soggetto e' spogliato del diritto soggettivo ad autodeterminarsi nei propri comportamenti in quanto gli verrebbe imposta una condotta inesigibile (eseguire un controllo giornaliero nelle cancellerie dei tribunali dei propri partners commerciali). Ove a tale rilievo si obiettasse che anche con l'affissione della sentenza di fallimento non e' facilitata la conoscenza effettiva dell'apertura della procedura concorsuale, sarebbe agevole replicare che l'ordinamento conosce un veicolo legale di diffusione che assicura la conoscibilita' e non la conoscenza quale e' quello primario costituito dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e che cio' nondimeno il giudice delle leggi, in un recente passato, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5 del c.p.p. del 1930 (Corte cost. 24 marzo 1988, 364 in foro it., 1988, I, 1385) ammettendo la scusabilita' dell'ignoranza della legge penale in deroga al principio ignoratia legis non excusat. E' ben noto a questo Collegio che recentemente (Cass. n. 6777/88, cit.; trib. Palermo 27 maggio 1986 in fallimento, 1986, 1269; App. Catania 19 settembre 1986 in fallimento, 1987, 102) la medesima questione di legittimita' costituzionale dell'art. 44 della legge fallimentare e' stata disattesa; purtuttavia le ragioni che hanno indotto i giudici ad escludere la non manifesta infondatezza della questione non sembrano insuperabili ove si rilevi che e' stato sostenuto che non c'e' contrasto con i valori costituzionali " .. in relazione al sacrificio che potrebbe essere imposto al terzo ignaro senza colpa del fallimento, in conseguenza della sanzione di inefficacia degli atti per il solo fatto del loro compimento dopo la data del fallimento, vertendosi in tema di scelte del legislatore giustificate da obiettive esigenze pubblicistiche inerenti alla procedura fallimentare". In verita' il sacrificio che viene imposto al terzo ignaro senza colpa dell'avvenuta dichiarazione di fallimento puo' soccombere rispetto alle esigenze della procedura fallimentare solo se non vengono pretermessi alcuni valori essenziali, quali il diritto alla difesa di cui all'art. 24 della Costituzione, diritto che vive proprio nella esclusione di una responsabilita' senza colpa. Non va trascurato infatti che il sistema della legge fallimentare risale ad oltre 50 anni fa e che in questo periodo e' entrata in vigore la Costituzione repubblicana e sono fortemente mutati i costumi e i traffici commerciali, si che una interpretazione della norma valida nel 1942 debba oggi essere del tutto ribaltata. In buona sostanza il tribunale ritiene che vi siano argomenti per sostenere la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 44 in relazione all'art. 42 della legge fallimentare nella parte in cui non prevede, secondo il modello di norma di diritto vivente, che per i terzi gli effetti del fallimento si producano solo con l'affissione salvo la prova contraria della conoscenza dell'intervenuta sentenza di fallimento e cio' in contrasto con l'art. 24 della Costituzione. Va infatti ricordato che il giudice a quo deve porsi soltanto il problema della consistenza del dubbio e non gia' quello della sua fondatezza. Sulla rilevanza della questione. La questione di legittimita' cosi' impostata rileva nel caso in esame ove nell'elenco degli atti compiuti dopo il fallimento ve ne siano taluni anteriori al 22 giugno 1988 quando la sentenza venne affissa. Si tratta allora di verificare quali operazioni siano state compiute sul c/c n. 14743 dopo la dichiarazione di fallimento. Il fallimento della soc. 3E venne deliberato il 17 maggio 1988; la sentenza venne depositata il 24 maggio 1988 e affissa il 22 giugno 1988. Estintosi per effetto dell'art. 78 della legge fallimentare il mandato conferito alla banca, questa non puo' piu' fare pagamenti per il fallito e non puo' trattenere gli accreditamenti sul conto, avendo diritto, soltanto, a dedurre da esso le spese per la tenuta e la conservazione del conto (in ordine a tale indirizzo, conformi appaiono le precedenti decisioni di cass. 7 luglio 1981, n. 4434, di cass. 14 maggio 1975, n. 1851). Applicando questi principi al caso di cui si controverte, passando alla voce relativa ai pagamenti eseguiti dalla convenuta per conto del correntista, occorre ribadire che si tratta egualmente di atti inefficaci ex art. 44 della legge fallimentare sempre in relazione all'art. 78 della legge fallimentare; infatti, scioltosi il contratto di mandato insito nel rapporto di conto corrente, la banca non poteva piu' eseguire pagamenti per conto del correntista rimasto, nel fattempo, privo della disponibilita' delle somme giacenti sul conto per effetto dello spossessamento ex art. 42 della legge fallimentare. Per tale ragione, occorre prendere in considerazione le seguenti operazioni: in data 25 maggio 1988 L. 55.566.731 per emissione assegno circolare; in data 25 maggio 1988 L. 20.211.729 per emissione assegno circolare; in data 26 maggio 1988 L. 16.123.049 per emissione assegno circolare; in data 26 maggio 1988 L. 500.000 per emissione assegno bancario di c/c; in data 27 maggio 1988 L. 35.977.631 per emissione assegno circolare; in data 27 maggio 1988 L. 5.767.049 per "pagamenti diversi"; in data 27 maggio 1988 L. 8.201.417 per "pagamenti diversi"; in data 30 maggio 1988 L. 469.856 per "disposizioni"; in data 1 giugno 1988 L. 5.711.200 per emissione assegno bancario di c/c; in data 2 giugno 1988 L. 38.040.000 per emissione assegno circolare. Come e' agevole notare tutte le operazioni sono avvenute prima dell'affissione, si che ove la questione di legittimita' costituzionale venisse accolta, non avendo il fallimento dimostrato che la B.A.M. era a conoscenza dell'avvenuto fallimento, la domanda della curatela dovrebbe essere respinta (nel caso di pronuncia di infondatezza la domanda potrebbe, invece, essere accolta). Si impone, pertanto la sospensione del presente processo sino alla definizione del giudizio davanti alla Corte costituzionale. La presente ordinanza va notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente del Senato e al Presidente della Camera dei deputati.